Insieme a chi?

Il 5 gennaio 2021, con la pubblicazione della Proposta di Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee (CNAPI) è iniziata un’altra fase del processo che dovrebbe portare alla messa in sicurezza dei materiali radioattivi provenienti dalla dismissione delle centrali nucleari italiane oltre che dai centri di ricerca e da alcuni settori industriali ed ospedalieri.
Già in passato erano state fatte delle ipotesi che, calate dall’alto e corredate da pochissimi dati, erano subito apparse più come delle scommesse per sondare la reazione popolare che dei progetti studiati con razionalità. Effettivamente la protesta delle popolazioni interessate si sviluppò con determinazione: in particolare ricordo il caso di Scanzano Jonico, località individuata dall’allora governo Berlusconi (anno 2003), dove si creò una mobilitazione che, nell’arco di qualche settimana, fece recedere la compagine governativa da quella azzardata ipotesi. Da quel momento si è delineato un cambio di strategia: sono passati ad altro metodo teso, almeno apparentemente, a coinvolgere “l’ambito locale” nel processo decisionale, tanto che lo slogan che campeggia sul sito “deposito nazionale.it” è: “Scriviamo insieme un futuro più sicuro”.

La consultazione pubblica
Così dai primi di gennaio ha preso il via, con la pubblicazione del Progetto Preliminare del Deposito Nazionale e Parco Tecnologico (DNTP) e dei documenti correlati (in totale più di un migliaio di pagine), la cosiddetta consultazione pubblica, come previsto dal D.lgs. 31/2010. Nei sessanta giorni successivi le Regioni, gli Enti locali, nonché i soggetti portatori di interessi qualificati, possono formulare osservazioni e proposte tecniche in forma scritta e non anonima.
Non chiedetemi cosa si debba intendere con soggetti portatori di interessi qualificati perché non mi è per nulla chiaro. Non so se la mia ignoranza giuridica possa rendere più nebulosa questa definizione o se, invece, questa risponda ad una precisa volontà: “mantenersi nel vago per poi gestire i pareri qualificati” alimentando l’idea di una “consultazione estesa” che nei fatti sarà funzionale a giustificare la “democratica” decisione riservata ai vertici della politica di palazzo. Una specie di piattaforma Rousseau, per intenderci.
Comunque, entrando nel sito “depositonazionale.it” trovate il modulo per registrarvi come persone fisiche; l’unica richiesta, oltre ai dati anagrafici, è la fotocopia del vostro documento d’identità (non mi sono spinto oltre e quindi non conosco il seguito della procedura). Entro 120 giorni dall’avvio della consultazione pubblica la SOGIN (che è la società di Stato responsabile del decommissioning degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi) promuove il Seminario Nazionale al quale saranno invitati i portatori d’interesse qualificati per approfondire gli aspetti tecnici del progetto oltre che quelli legati alla sicurezza dei lavoratori, della popolazione, dell’ambiente e degli eventuali benefici economici.

Come si è arrivati alla CNAPI?
ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) ha definito la Guida Tecnica n. 29, pubblicata il 4 giugno 2014, ispirandosi ai principi base di sicurezza stabiliti dall’International Atomic Energy Agency (IAEA), organo delle Nazioni Unite che periodicamente aggiorna gli standard cui devono riferirsi gli Stati membri. Nella guida sono esplicitati i criteri per la localizzazione del sito suddivisi in criteri di esclusione (CE) e criteri di approfondimento (CA). I CE si riferiscono a quelle caratteristiche che non permettono di garantire la piena rispondenza ai requisiti di sicurezza mentre i CA prevedono valutazioni a scala locale, sia per escludere ulteriori parti di territorio che non presentino i requisiti necessari sia ai fini di stabilire un ordine di idoneità. La SOGIN ha quindi elaborato la carta dei siti potenzialmente idonei applicando tali criteri per poi ricevere il nulla osta dai Ministeri dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente.
I criteri di esclusione sono in tutto 15. Facciamo alcuni esempi di aree: CE1 vulcaniche attive, CE2 sismicità elevata, CE3 fenomeni di fagliazione, CE4 rischio e/o pericolosità geomorfologica e/o idraulica, CE6 altitudine maggiore di 700 m s.l.m., CE8 distanza di 5 km dalla linea di costa attuale oppure ubicate a distanza maggiore ma ad altitudine minore di 20 m s.l.m.,CE10 falda affiorante, CE11 zone naturali protette identificate ai sensi della normativa vigente come aree ove sono presenti paesaggi, habitat e specie animali e vegetali tutelati (parchi nazionali, regionali e interregionali, riserve naturali), CE12 non ad adeguata distanza dai centri abitati, CE15 presenza di attività industriali a rischio di incidente rilevante.
Tra i 13 criteri di approfondimento troviamo: CA5 fenomeni di erosione accelerata, CA6 condizioni meteo-climatiche soggette ad eventi estremi, CA10 presenza di habitat e specie animali e vegetali di rilievo conservazionistico, CA11 produzioni agricole di particolare qualità e tipicità e luoghi di interesse archeologico e storico, CA12 disponibilità di vie di comunicazione primarie e infrastrutture di trasporto, CA13 presenza di infrastrutture critiche rilevanti o strategiche.
Per l’individuazione delle aree ritenute idonee possiamo, semplificando, immaginare un procedimento che provo a descrivere così: disegniamo su un foglio bianco la sagoma del territorio italiano, sovrapponiamo dei fogli trasparenti per ognuno dei criteri di esclusione sui quali sono state colorate le aree non idonee, dopo aver posizionato il quindicesimo foglio potremo delimitare quelle zone che sono rimaste bianche: quelle sono le aree potenzialmente idonee. Si potrà ora procedere con l’analisi basata sui criteri di approfondimento che attraverso uno studio locale andranno a restringere ulteriormente le superfici ritenute potenzialmente adatte alla costruzione del deposito nazionale.

Come sono state classificate le aree individuate?
Sogin ha quindi raggruppato le aree potenzialmente idonee, cioè rispondenti in pari misura ai criteri di sicurezza della Guida Tecnica n. 29, in quattro insiemi con ordine di idoneità decrescente (A1, A2, B e C). Al fine di classificare le aree sono stati individuati 6 fattori che possono rappresentare le condizioni d’area relative ai criteri sotto indicati. La loro valutazione è stata effettuata in termini di condizione “Favorevole” o “Meno Favorevole” in base a valori soglia fissati per ciascun fattore. I fattori sono: 1) Classificazione sismica regionale, 2) Trasporti marittimi (insularità) 3) Trasporti terrestri 4) Insediamenti antropici 5) Valenze agrarie 6) Valenze naturali.
In base al fattore “Classificazione simica regionale” tutte le aree i cui Comuni di appartenenza risultano essere “in Zona sismica 2” sono state classificate in classe C. In base al fattore “Trasporti marittimi” tutte le aree in Zona sismica 3 e 4 che risultano essere “insulari” sono state classificate in classe B (nota 1 zone sismiche). La sottoclasse A1 include le aree con almeno 3 fattori valutati come Favorevole (Molto buono) mentre la sottoclasse A2 include le aree con meno di 3 fattori valutati come Favorevole (buono).
Secondo la legge il presente ordine di Idoneità verrà utilizzato soltanto nel caso in cui dovessero essere avanzate più candidature alla localizzazione del Deposito Nazionale da parte di Enti Locali il cui territorio è interessato dalle aree CNAPI. Si ribadisce che l’ordine di idoneità formulato per le aree potenzialmente idonee della CNAPI costituisce una proposta che viene sottoposta a consultazione pubblica e che potrà essere discussa ed eventualmente modificata in sede di Seminario Nazionale.

Il deposito
ll deposito sarà costituito dalle strutture per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi a molto bassa e bassa attività e da quelle per lo stoccaggio temporaneo dei rifiuti radioattivi a media e alta attività, che dovranno essere successivamente trasferiti in un deposito geologico idoneo alla loro sistemazione definitiva. Insieme al Deposito Nazionale sarà costruito il Parco Tecnologico, che viene presentato come un centro di eccellenza a livello internazionale nell’ambito della ricerca tecnologica e industriale.
Il Deposito Nazionale ed il Parco Tecnologico occuperanno un’area di circa 150 ettari, di cui 40 dedicati al Parco e 110 al Deposito. Per i rifiuti radioattivi a molto bassa e bassa attività, l’isolamento dall’ambiente deve essere assicurato per un periodo di circa 300 anni. Trascorso questo periodo, la radioattività dei rifiuti sarà decaduta ad un livello tale da non generare impatti per la salute dell’uomo e per l’ambiente. A titolo esemplificativo il decadimento radioattivo del Cesio-137 rientra fra i radionuclidi con un tempo di dimezzamento di 30 anni (ogni 30 anni metà degli atomi di Cesio si saranno trasformati in altri elementi chimici che non emettono radiazioni)
Nel Deposito Nazionale saranno conferiti circa 95.000 metri cubi di rifiuti radioattivi. Di questi, circa 78.000 metri cubi sono rifiuti radioattivi di molto bassa e bassa attività destinati allo smaltimento. I restanti circa 17.000 metri cubi sono rifiuti a media e ad alta attività che verranno stoccati “temporaneamente” in vista del loro smaltimento in un deposito geologico. I rifiuti sono sistemati e condizionati in contenitori di diverse tipologie. L’insieme di contenitore e rifiuto condizionato costituisce quello che si definisce manufatto, la cui vita utile deve essere adeguata a garantire le condizioni di sicurezza per l’intero periodo di stoccaggio.

Classificazione rifiuti
Con Decreto Ministeriale 7 agosto 2015, ai sensi dell’Art. 5 del Decreto Legislativo 4 marzo 2014 n. 45 la classificazione nazionale dei rifiuti radioattivi è stata modificata, adeguandola agli standard europei. Pertanto, allo stato attuale, si distingue tra: “smaltimento dei rifiuti radioattivi a molto bassa e bassa attività (VLLW-Very Low Level Waste e LLW-Low Level Waste), a media e alta attività (ILW-Intermediate Level Waste e HLW-High Level Waste).
I rifiuti ad alta attività, in particolare quelli a lunga vita, richiedono tempi dell’ordine delle centinaia di migliaia di anni affinché la radioattività decada a livelli non più pericolosi. La loro sistemazione definitiva richiede quindi che vengano isolati dalla biosfera per tali scale temporali. Per questo scopo non si può fare affidamento, come nel caso dei rifiuti di bassa e media attività, a barriere ingegneristiche artificiali che possono durare secoli: occorre invece considerare formazioni geologiche profonde la cui stabilità geologica, tettonica, idrogeologica e sismica possa essere dimostrata su scale temporali di milioni di anni rendendo anche più difficili eventuali intrusioni volontarie o accidentali. Allo stato attuale l’unico deposito profondo operativo nel mondo è il WIPP (Waste Isolation Pilot Plant, USA), che ospita rifiuti radioattivi di origine militare.
Per i rifiuti ad alta attività, allo scopo di fruire dei potenziali vantaggi di una soluzione condivisa in termini di costi e tempi di realizzazione, come prospettato anche dalla Direttiva Europea 2011/70/EURATOM, alcuni Paesi tra cui l’Italia stanno studiando la possibilità di un deposito regionale europeo. Le esperienze internazionali indicano che i tempi necessari per individuare e qualificare un sito per un deposito geologico sono dell’ordine delle decine di anni e ad oggi non ne esiste uno operativo. Da questo punto di vista mi pare che l’ipotesi di immagazzinare temporaneamente le scorie a media ed alta radioattività insieme a quelle a bassa radioattività sia una scelta dettata da mancanza di alternative più che una fase di passaggio verso una soluzione definitiva. Nel progetto una porzione del deposito sarà riservata al Complesso Stoccaggio Alta attività (CSA) che avrà, appunto, la funzione di ricevere i manufatti di rifiuti solidi radioattivi ad alta attività per un tempo massimo di 50 anni. Ci crediamo?
Nel trattamento delle scorie sono necessari interventi di “condizionamento” che consistono nell’immobilizzazione dei rifiuti stessi e quindi dei radionuclidi in essi presenti all’interno di speciali matrici cementizie. Queste matrici consentono di solidificare i rifiuti liquidi e di inglobare i rifiuti solidi, realizzando in tal modo un monolite che costituisce la prima barriera passiva di contenimento (manufatto).

Le strutture
Gli edifici tipo che caratterizzano il CSA sono delle strutture in calcestruzzo armato con pianta rettangolare di dimensioni interne di circa larghezza 59 m, lunghezza 85 m, altezza 22 m. Ogni edificio si sviluppa in elevazione su cinque livelli: piano fondazioni, piano terra, primo e secondo piano ed un ultimo piano copertura. Queste strutture sono progettate per lo stoccaggio dei cask (speciali contenitori per rifiuti ad alta radioattività).
Nella documentazione allegata al progetto sono presenti decine di tavole con i dettagli delle strutture e degli impianti necessari alla gestione del sito nelle diverse fasi di vita che, schematicamente, possono essere così suddivise:
Fase di esercizio. I rifiuti vengono ricevuti dal Deposito in forma già condizionata (manufatto, prima barriera), inseriti in un modulo di calcestruzzo speciale (seconda barriera) e quindi sistemati definitivamente all’interno di strutture speciali in calcestruzzo armato dette celle (terza barriera). Al termine del suo riempimento, ciascuna cella verrà sigillata e impermeabilizzata. La fase di esercizio avrà una durata di circa 40 anni. Nei primi anni saranno conferiti al Deposito i rifiuti derivanti dalle attività di smantellamento delle installazioni nucleari e successivamente quelli prodotti dalle attività medicali, industriali e di ricerca.
Fase di chiusura. Dopo il riempimento delle celle si avvia la fase di chiusura, durante la quale è prevista la realizzazione della copertura multistrato: contestualmente a questa fase dovrebbero essere progressivamente allontanati i rifiuti a media e alta attività e smantellati gli impianti realizzati per la gestione del sito.
Fase di controllo istituzionale . Dopo la chiusura inizierà la fase di controllo istituzionale, durante la quale un sistema di drenaggio, installato sotto ciascuna cella, assicurerà la raccolta e il trattamento dell’acqua derivante da eventuali infiltrazioni o condense all’interno delle celle. La struttura sarà inoltre monitorata per prevenire intrusioni ed assicurare la massima efficienza delle barriere e resterà operativa la rete di monitoraggio ambientale e radiologico. La fase di controllo istituzionale proseguirà per circa 300 anni, trascorsi i quali, grazie al decadimento della radioattività e sulla base di un’analisi di sicurezza di lungo periodo (Safety Assessment) si libererà il sito da vincoli di natura radiologica, rendendolo disponibile per altri usi.

Il trasporto
Un aspetto che sicuramente potrà influire sulla scelta del sito è legato ai mezzi con cui trasferire i rifiuti radioattivi dai siti in cui si trovano attualmente al deposito nazionale. Non è semplicemente una questione di distanza ma conterà l’eterogeneità dei rifiuti e la tipologia dei loro contenitori. Le ipotesi di trasporto comprendono le modalità stradale, ferroviaria e marittima: ognuna di queste presenta diverse problematicità. Certamente il trasporto ferroviario avrà un ruolo preponderante poiché questa modalità è già stata utilizzata ed è la più idonea al trasporto di contenitori di rifiuti radioattivi di grandi dimensioni come i cask.
Per il loro trasporto, in virtù delle masse, si rende necessario generalmente l’utilizzo di linee ferroviarie di opportuna categoria, la D4, unica per caratteristiche infrastrutturali a sostenere i valori di “peso per asse” e “massa per metro corrente” dei cask. Altrettanto certa sarà l’opzione di trasporto intermodale strada-ferrovia che prevede la predisposizione di appositi punti di scambio (Transfer Point) in cui avviene il trasferimento del carico dal vagone ferroviario all’apposito mezzo gommato, più facile da gestire nelle fasi iniziali e finali.
Per quanto riguarda il Il trasporto marittimo, questo è comunemente utilizzato per il traghettamento, quasi quotidiano, per trasferire i kit di radiofarmaci da e per le isole maggiori ma è stato anche impiegato per l’allontanamento di materie nucleari all’estero. Attualmente tale tipologia di trasporto prevede l’utilizzo di traghetti dedicati al trasporto merci ma solamente un numero limitato di porti sono idonei per le operazioni di imbarco e sbarco. Sono ad oggi impegnati nel traghettamento unicamente i porti di Villa San Giovanni e di Messina per il transito lungo lo stretto che connette la Sicilia alla Calabria ed i porti di Olbia e Piombino / Livorno per il collegamento fra Sardegna e terra ferma.
Tutti e tre i porti sopracitati sono porti civili e saranno difficilmente utilizzabili in futuro, vista la crescente attenzione nei confronti degli aspetti di security e safety; gli stessi, inoltre, non sono dotati (o lo sono solo in parte) delle caratteristiche idonee per imbarchi/sbarchi di materie radioattive quali quelle da trasferire nel deposito nazionale. Ritengo quindi i trasferimenti via mare abbastanza improbabili e, di conseguenza, anche i siti localizzati sulle isole non risulterebbero appetibili come già evidenziato nella tabella di cui sopra.

I siti
Dopo aver cercato di illustrare nelle linee principali il progetto e le caratteristiche del deposito nazionale è arrivato il momento di indicare alcuni dei 67 siti individuati come potenzialmente idonei a ospitarlo. Ho scelto di elencare solo quelli classificati come A1 (molto buoni) perché, nonostante questa classificazione sia dichiaratamente non vincolante essa rappresenta, comunque, una selezione tra quelli con più elementi favorevoli (sempre che si condividano i criteri di partenza).
Ricordiamo che questa valutazione si basava sul riscontro di almeno tre fattori con giudizio favorevole su sei. Si può notare che si trovano tutti nelle regioni Piemonte e Lazio, indicati con la loro sigla identificativa associata ai comuni su cui insiste l’area individuata.
PIEMONTE: TO 10 Caluso, Mazzè, Rondissone 515 ha, TO 07 Carmagnola 165 ha, AL 08 Alessandria, Castelletto Monferrato, Quargnento 828 ha, AL14 Fubine, Quargnento 235 ha, AL 03 Alessandria, Oviglio 184 ha, AL 02 Bosco Marengo, Frugarolo 211 ha, AL01 Bosco Marengo, Novi Ligure 387 ha.
LAZIO: VT 36 Montalto di Castro 209 ha, VT08 Montalto di Castro 296 ha, VT 27 Canino, Montalto di Castro 593 ha, VT 12 Corchiano, Vignanello 420 ha, VT 16 Canino 460 ha. Per completezza d’informazione segnaliamo che ci sono 11 siti inseriti nella categoria A2 (buono), 15 sono classificati in categoria B e 29 in quella C.
La scelta energetica nucleare è di per sé generatrice di contraddizioni per chi condivide le pratiche decentrate dell’autogestione poiché da sempre figlia della peggior minaccia militarista (quella legata alla produzione degli ordigni nucleari), da sempre caratterizzata da una tecnologia sofisticata fuori dal controllo dei più, indubbiamente pericolosa perché quando esce dal controllo dei pochi provoca delle conseguenze devastanti per l’ambiente e per tutti i viventi. Una opzione che, anche nella sua normale gestione, si lega indissolubilmente al controllo del territorio, che risulta prevaricante in un ambito temporale senza eguali visto che proietta le sue problematiche sulle generazioni future: non stiamo parlando di due o tre generazioni ma di quelle che si succedono nell’arco di centinaia di migliaia di anni (il riferimento è quello dei tempi geologici). Prova ne sia che quand’anche tutta la popolazione italiana fosse stata concorde nel costruire le centrali nucleari di Latina, Caorso, Trino Vercellese, Sessa Aurunca, il problema della gestione delle scorie radioattive generate fino al 1987 ricade sulle generazioni dell’oggi e del domani indipendentemente dalla condivisione o meno della scelta di allora. Ci troviamo e si troveranno nella scomoda situazione di dover mettere e mantenere in sicurezza rifiuti radioattivi che non avremmo mai voluto produrre. Lo ribadiamo: chi ha deciso di sviluppare il nucleare, cosiddetto civile, non lo ha mai fatto indipendentemente da strategie di predominio militare nello scacchiere geopolitico internazionale, non ha mai calcolato i costi economici, sociali ed ambientali ma oggi si chiede, con la classica ipocrisia del potere, di scrivere insieme un futuro più sicuro.
I dati sono tratti da www.depositonazionale.it

MarTa

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